Ma sono solo un numero
(Monologo di un prigioniero ad Auschwitz) Guardami, dalla vita mi separa la memoria della vita, una falsa preghiera da sciogliere nella voce imperiosa che grida i numeri come presagi di un macabro passaggio in re minore. E il volo dell’anima rovista tra le ferite vuote di sangue e bucce di patate e crauti secchi, dono solitario che le mani barattano con un necrologio anonimo in una lingua cieca di pietà. Guardami, inciampo negli incubi che non riconosco, dove l’umanità galleggia prima d’esser nata e le torture sconsacrate si strappano la pelle senza unghie, come un’esecuzione mutilata. Chi ridarà l’uomo all’uomo? Chi mi salverà dai giorni quando il dolore punge e non fa male e cerca altro dolore per dare vita al corpo? Chi brucerà queste orme stanche che implorano pianti e nostalgia per un funerale dentro il legno dove il marcio genera la vita, lontano dalle camere a gas? Guardami, la sfinitezza custodisce il niente, un niente che trasale sui binari (ma sono solo un numero e il numero è una crosta senza nome). |